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Il brigante Fra Diavolo dal Matese al patibolo

recensione

L’Annuario di storia, cultura e varia umanità 2017 dell’Associazione Storica della Valle Telesina, presentato il 18 maggio 2018 presso l’Abbazia benedettina del Santo Salvatore de Telesia, a p. 133 riporta il saggio di Rosario Di Lello: Il brigante Fra Diavolo dal Matese al patibolo (tra editi e inediti).

Di Lello scrive che la curiosità per il personaggio di Fra Diavolo nasce dopo aver letto due preziosi libri. Esperto di brigantaggio, di cui ha scritto in passato, argomenta sul termine “Brigante”, usato spesso e volentieri per narrare di Michele Pezza. Le fonti, che ha consultato, gli danno la chiave di lettura per valutarlo.

L’autore realizza un quadro completo della vita del guerrigliero di Itri, pur non esponendolo in senso cronologico, la narrazione è articolata con dovizia di notizie, grazie all’ausilio delle fonti. Dettagliata la parte che narra la fine delle imprese di Fra Diavolo nel Matese inseguito dai francesi comandati da Sigisbert Hugo.

La bibliografia riportata a piè di pagina dà la possibilità al lettore di conoscere la vasta letteratura italiana e francese interessata alla vita di Fra Diavolo, dall’infanzia al tragico epilogo di Piazza Mercato in Napoli, l’11 novembre del 1806. Molti i documenti, anche inediti provenienti da collezioni private – alcuni dell’autore – che impreziosiscono storicamente il saggio.

Nel 1985 nel dare alle stampe il suo pregevole Fra Diavolo (De Agostini-Novara) lo scrittore e giornalista Giuseppe dall’Ongaro (germanista, Premio S. Vincent e Scarfoglio) pose un interrogativo: fu brigante o patriota? La risposta, parimenti, mi pare di coglierla tra le righe del saggio in questione. Scrive Di Lello: “Qui, mi sembra poterlo stimare il più noto o, almeno, uno dei più rinomati guerriglieri d’ogni tempo, in quanto, nel corso di due secoli, è stato preso in seria considerazione dalla storia, dalla narrativa e dalla poesia, dalla musica lirica, dal teatro, dal cinema e dalla televisione, dalla museografia, dalla toponomastica e dalla promozione turistica, dalla sceneggiata popolare e dalla produzione fumettistica.”

Il venticinquenne bastaio di Itri, omicida per amore, baratta tredici anni di ferma volontaria, evitando così la prigione, arruolandosi nell’esercito borbonico è assegnato al reggimento Messapia. Di lì a poco è sbandato per la sconfitta subita a Roma ad opera dei francesi. Disorientato, aderisce al proclama reale che incita alla difesa del Regno, inventa la guerriglia combattendo in Ciociaria e Terra di Lavoro. Nasce tra mito e leggenda la reale figura del Pezza: insorgente e capo-massa, ottiene i gradi di tenente colonnello ed è nominato duca di Cassano e Governatore di Itri per ordine di Ferdinando IV. Quanto basta per considerare plausibili le considerazioni riportate da Di Lello.

Di Michele Pezza si è parlato ingiustamente in vita, e anche dopo. Il Colletta, prima borbonico, poi difensore del nuovo corso imposto dai transalpini, è stato con il Monitore napoletano l’acerrimo nemico dell’itrano, il giornale l’11 novembre 1806, giorno della sua

morte scriveva: … sarà l’ultima volta che si parlerà di Fra Diavolo e resterà poi ricoperto d’obbrobrio e seppellito in eterno oblio il nome di questo assassino. Il giornale grancassa dei francesi si sbagliava, Di Lello ha ben evidenziato che il tempo non si è fermato per l’insorgente Michele Pezza in questi duecento e più anni, tutt’altro! Una vita a dir poco rocambolesca quella del Pezza, peraltro ben visto dagli inglesi e da autorevoli scrittori d’oltralpe. Di assassini capo da assassini operando… scriveva però il Colletta. E per i francesi quale termine dovremmo coniare? Sono note le vicende d’intere comunità completamente distrutte e passate a fil di spada. Sessantamila i morti, secondo il calcolo del generale francese Paul-Charles Thiébault 1, solo nella prima parte del 1799.

Michele Pezza fu accusato di essere un sanguinario per come combatteva e Di Lello puntualizza: Fra Diavolo combatté i Francesi invasori del Regno di Napoli e, pertanto, al pari del nemico, ma spesse volte da guerrigliero e perciò con metodi differenti, adottò quella violenza utilizzata in ogni azione bellica.

Che dire allora del maggiore Hugo proveniente dai massacri perpetrati in Vandea? Lì fratelli contro fratelli trucidati perché contrari al processo rivoluzionario francese di cui ha scritto Reynald Secher ne: Il genocidio vandeano, Ed. effedieffe, 1991, Milano; un dramma umano riconosciuto da Napoleone, che dispose congrui risarcimenti alla regione francese.

Il maggiore Hugo fu scelto proprio per la strategia militare che avrebbe portato alla cattura di Fra Diavolo, anche se, come tanti hanno scritto, erroneamente, non fu il comandante Hugo a catturarlo, a riposo perché ferito in uno scontro a fuoco. Comunque, la campagna militare da lui condotta gli valse il grado di colonnello. Apprezzabile fu l’interessamento per il suo avversario perché fosse giudicato come un militare e non un volgare brigante.

Solo con un’analisi dei fatti e delle circostanze dell’uomo “insorgente”, che rispose due volte a proclami reali ponendosi con la sua massa a difesa del Regno di Napoli, nel 1799 e dei Corpi volanti nella seconda invasione napoleonica del 1805 è possibile considerare obiettivamente il personaggio: Michele Pezza; non fu eroe, ma uomo del suo tempo, coraggioso e fedele al suo Re. Oggi questo sarebbe sufficiente a riscattarlo dal giudizio sommario della Storia.

Di Lello con il suo saggio, ben diviso tra fatti storici, citazioni e considerazioni, offre ai lettori un’analisi completa e coinvolgente di un personaggio abile e valoroso, protagonista di una fase storica, che lo vide interprete per tutto il mezzogiorno d’Italia, e che lo proiettò nella leggenda.

Pino Pecchia

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